Mentre ormai si parla quotidianamente di Cina come mercato di sbocco, soprattutto per le dimensioni, che fanno gola, è interessante prendere spunto da alcuni episodi recenti per approfondire l’evoluzione del mercato cinese e delle abitudini di consumo dei consumatori cinesi.
Il mercato cinese
Qualche dato veloce per inquadrare le dimensioni del mercato cinese, aggiornato a settembre 2018 (dati FederlegnoArredo). La Cina attualmente è al 75° posto tra i Paesi del mondo, per PIL e PPP (potere d’acquisto in dollari americani); era al 99esimo posto nel 2010. Il PPP (potere d’acquisto comparato in dollari americani) cinese è oggi di 16.096 dollari pro-capite; come termine di paragone, possiamo dire che l’Italia è al 33esimo posto con 37.970 dollari, e ai primi posti ci sono il Qatar, con 128.000 dollari, Macao, con 105.000, Singapore e Lussemburgo, entrambi con 90.000 dollari. Quello che è più significativo della Cina, tuttavia, sono i mutamenti nei comportamenti d’acquisto della classe media e alta, che virano sempre di più verso i beni strumentali anche costosi, a dispetto del rallentamento della crescita economica, prevista in calo al 6,4% per 2019 e 2020.
La Cina e l’arredamento italiano
Per quello che riguarda l’arredamento italiano, l’export verso la Cina cresce senza sosta dal 2009 (2009 -> 2019 + 494%). Nel 2017, la Cina è stata il 7° mercato di destinazione per l’export del mobile italiano, e il secondo extra-UE, superando così la Russia, con il 50% dei prodotti esportati nei segmenti imbottiti, legno e altri materiali (rattan, plastica, bamboo), e area living. Nel 2017, l’Italia è stata il primo Paese per import dell’arredamento in Cina, con una quota del 22% sul totale dell’import dell’arredamento in Cina, quarto segmento nell’export Made in Italy in Cina.
È dunque evidente che c’è un potenziale di espansione molto importante per le aziende italiane, considerato anche che in Cina attualmente ci sono 6 megalopoli (oltre i 10 milioni di abitanti), 10 metropoli (tra i 5 e i 10 milioni di abitanti) e si prevede che entro il 2030 ci sarà almeno un’altra megalopoli oltre i 10 milioni di abitanti, e almeno altre 6 metropoli; oltre 350 milioni di cinesi si trasferiranno in zone urbane, tra il 2030 e il 2035, e, per fare un termine di paragone, le città con più di milione di abitanti nell’Unione Europea sono 18 (17 senza Londra), negli Stati Uniti 10, in Cina 265.
La Cina e le fiere dell’arredamento
Le fiere più importanti per le aziende italiane sono diverse. Se fino a qualche anno fa le fiere cinesi non erano le più adatte ai prodotti italiani, che risultavano troppo costosi anche nella fascia media per il livello dei consumatori cinesi, oggi il livello medio dei consumi in Cina si è decisamente alzato, e i prodotti italiani risultano molto più abbordabili. Per questo, anche le fiere dirette alla fascia media risultano interessanti per le aziende italiane della fascia media e medio/alta.
CIFF – China International Furniture Fair è una di queste. La più grande delle fiere cinesi dedicata all’arredamento, CIFF, è arrivata alla 43esima edizione; si tiene ogni anno in due differenti edizioni, nel mese di marzo a Guangzhou, nel mese di settembre a Shanghai. Vale la pena ricordare che Shanghai e Guangzhou sono due tra le città più popolose e ricche della Cina contemporanea. Shanghai, oltre ad avere 23 milioni di abitanti, è tra le città più internazionali e cosmopolite del mondo; Guangzhou (l’ex Canton), ha conservato lo spirito internazionale di quando era l’unico porto della Cina a commerciare con l’Occidente, oltre alla ricchezza.
L’edizione di marzo di CIFF è particolarmente ricca, di visitatori e prodotti. Si tiene in due fasi, la prima dal 18 al 21 marzo, con l’arredo domestico, la seconda dal 28 al 31 marzo, dedicata a ufficio e contract. In totale, nel giro di 10 giorni totalizza circa 760.000 metri quadrati di esposizione, oltre 4.100 espositori e oltre 200 mila visitatori professionali, di cui 30 mila provenienti dall’estero.
Negli ultimi anni, CIFF ha puntato sempre più l’attenzione sul design, diventando così un nuovo punto di riferimento per le aziende interessate ai mercati internazionali.
Nel 2018, l’edizione di Shanghai ha visto la partecipazione di diverse aziende di design internazionali, come Muuto o Knoll, e anche di diverse aziende italiane, tra cui Medea, Tonin Casa, e altre, che sono rimaste molto soddisfatte dei risultati ottenuti.
La prossima edizione di CIFF, dal 18 al 21 marzo 2019, si preannuncia ricca di novità anche nell’area outdoor, con la nuova area Outdoor & Leisure. Oltre 70 mila metri quadrati di esposizione saranno dedicati agli arredi da giardino, con allestimenti speciali per piscine all’aperto, aree per il barbecue, i garden-party, e attenzione ai materiali innovativi.
Le altre fiere di Shanghai
Le altre fiere che si tengono a Shanghai sono decisamente più europee, per format e dimensioni. Nella prima metà di marzo si tiene Design Shanghai, organizzata da 10 Media, la stessa organizzazione di 100% Design, la fiera londinese di settembre. È una piccola fiera, che ospita solo aziende design-oriented non necessariamente di mobili ma anche di materiali e finiture, e design da collezione, con gallerie specializzate. Il pubblico è composto per la quasi totalità da architetti e interior designer, e c’è una nutrita presenza di aziende italiane. Si tiene allo Shanghai Exhibition Center, il vecchio centro espositivo, in un bel palazzo nell’area centrale di Shanghai.
In settembre si tiene anche Furniture China, organizzata da UBM Asia. Occupa tutta la superficie dello Shanghai New International Expo and Exhibition Center (SNIEC), e dello Shanghai World Expo and Exhibition Center (SWEECC), per un totale di 350 mila metri quadrati, con Maison Shanghai e FMC, l’area dedicata alle macchine. Furniture China e Maison Shanghai sono fiere decisamente internazionali, con una forte presenza di aziende europee, americane e asiatiche. Anche il pubblico ha una certa presenza internazionale: su 166.000 visitatori del 2008, oltre 21.000 provengono dall’estero, principalmente da Corea del Sud, Hong Kong, Stati Uniti, Australia, Malaysia.
Infine il Salone del Mobile.Shanghai, che non ha bisogno di presentazioni. Anche il Salone Shanghai si tiene allo Shanghai Exhibition Center, ed è in crescita continua, come testimonia anche l’aumento dell’export verso la Cina.
Il mercato cinese: gioie e dolori
Stabilito che il mercato è in crescita, e che amano il Made in Italy, la Cina, purtroppo, non è affatto vicina. Anzi, dal punto di vista culturale, è anche piuttosto lontana. Una storia recente di comunicazione, con un incidente “diplomatico” che ha causato inconvenienti gravi per un’azienda Italiana della moda, offre diversi spunti per esplorare la comunicazione in Cina. Se non dice che cosa bisogna fare, quantomeno suggerisce cosa si deve evitare.
Dolce & Gabbana: un caso di studio
La storia è nota. Nel mese di novembre 2018, Dolce & Gabbana avevano annunciato una grande sfilata a Shanghai. Per pubblicizzare questa sfilata, avevano preparato alcuni spot pubblicitari, con una modella di etnia cinese che cercava di mangiare piatti occidentali con le bacchette, senza riuscirci, e una voce fuori campo che la canzonava, con ammiccamenti e battutine. Gli spot sono stati considerati offensivi per la cultura cinese, bersagliati di critiche sui social network cinesi, e alla fine rimossi dai social network. Poi Stefano Gabbana ha avuto uno scambio di idee in una chat privata di Instagram, insultando il popolo cinese, con una blogger che l’ha resa pubblica. Benché Stefano Gabbana abbia dichiarato che il suo account era stato violato, il danno era ormai fatto. Lo show è stato cancellato, e nel giro di pochi giorni tutti i prodotti Dolce & Gabbana sono stati eliminati dai portali di e-commerce cinesi, e in seguito anche da alcuni dei più grandi department store. La storia si è chiusa con un video ufficiale di scuse dei due stilisti, che per il momento non ha sortito alcun effetto, anzi, è possibile che abbia peggiorato la situazione. Gli esperti dicono che ci vorranno almeno due anni prima che possano ritornare sul mercato cinese, dunque una ripercussione sui conti economici dell’azienda ci sarà.
Comunicare in Cina
Come si comprende da queste brevi considerazioni, avere rapporti con la Cina è complicato. Vendere significa stabilire rapporti personali, prima che commerciali, e il rispetto reciproco è di importanza fondamentale. Come ha spiegato Francesco Boggio Ferraris, durante la settima edizione del Fimi – Forum Internazionalizzazione del Made in Italy 2018, ci sono alcuni errori fondamentali commessi nella comunicazione di Dolce & Gabbana, dunque elementi da tenere presenti.
Innanzitutto, il senso dell’umorismo cinese è diverso dal nostro, e il loro senso del pudore è molto più radicato del nostro, quindi gli ammiccamenti in stile italiano non sono graditi. Inoltre, le donne cinesi sono molto emancipate, e probabilmente non gradiscono essere rappresentate come “imbranate” che non riescono a maneggiare le bacchette. Usare le bacchette, tra l’altro, per i cinesi è molto importante, e lo insegnano ai bambini fin da piccolissimi. Senso del pudore trascurato, derisione della cultura, umorismo sbagliato: ce n’era da avanzo per una risposta decisa, che puntualmente è arrivata.
Cosa bisogna fare dunque per fare affari in Cina? La cosa più semplice e immediata, è tenere presente che la Cina non è l’Italia, ma non solo: è proprio un altro mondo. Un mondo con abitudini diverse, e differenti attitudini. Francesco Boggio Ferraris ha posto l’accento su alcuni aspetti che si dovrebbero prendere in considerazione, prima di approcciare la Cina. Dunque, sarebbe importante imparare alcuni comportamenti, per esempio come accogliere una delegazione, conoscere l’etichetta e il protocollo, conoscere anche la cultura. I comportamenti pesano per il 20% nelle relazioni, un peso troppo rilevante per essere trascurato. Non dimenticare che per la cultura cinese, la reputazione è fondamentale, “salvare la faccia” è tutto. I cinesi non dicono mai no: non dicendo “no”, ti offrono la possibilità di salvare la faccia. Bisogna saper interpretare le risposte, per capire se vogliono dire sì o no a una proposta. A parte questo, i cinesi sono leali, e per loro l’amicizia ha un grande valore.
I consumatori cinesi
Innanzitutto, bisogna pensare che la Cina ha le dimensioni di un continente e una popolazione enorme. È importante stabilire quali siano le aree e le città di interesse, e usare tutti gli strumenti di profilazione possibili. In questo, i mezzi di comunicazione più popolari in Cina, aiutano molto. Infatti, in Cina la maggior parte dei consumatori appetibili per le aziende italiane ha già superato il web 2.0 e si lancia a velocità supersonica verso una comunicazione di tipo diverso, che utilizza al massimo tutti gli strumenti offerti dal web, ma non i canali ufficiali. I siti web non vengono più seguiti, forse alcuni canali ufficiali di WeChat sono ancora seguiti, ma sempre meno. I cataloghi stampati su carta non riscuotono interesse, sono statici, non c’è nessuna esperienza. I video sono decisamente più efficaci, i video on line sono visti e commentati. Attenzione, però: affinché una comunicazione sia efficace, è necessario lavorare con influencer e KOL (Key Opinion Leader), che sono in grado di interagire sui social network e di comunicare direttamente con i consumatori.
Il social network più recente è Douyin, una app per video che sta spopolando. Lanciata nel 2016, ha già superato i 500 milioni di utenti (dato fine 2018). La caratteristica dei video su Douyin è che non possono superare i 15 secondi; al superamento dei 100 milioni di visualizzazioni o condivisioni si possono caricare video di 30 secondi, e via via fino a un minuto. I video per Douyin non devono essere produzioni costose, devono essere interattivi ma diretti e immediati.
Nonostante l’attitudine a interagire con i social network, non è che i consumatori cinesi facciano acquisti solo via e-commerce. Al contrario, la consuetudine a fare acquisti on line – molti complessi di abitazioni nelle città cinesi hanno centri di smistamento pacchi al loro interno – sta spingendo i cinesi a tornare nei negozi, per vivere l’esperienza della visita al department store, che spesso i giovani nemmeno conoscono.
Un mercato dunque molto complesso, ma che offre molte opportunità.