Continua la scalata al successo planetario del Salone Internazionale del Mobile di Milano, che ha registrato anche quest’anno oltre 324.000 visitatori, di cui 285.698 operatori del settore, per il 68% arrivati dall’estero. Una percentuale di operatori stranieri altissima, ma non solo: provenienti da 160 Paesi. Praticamente, da tutto il mondo. Un successo planetario la cui spiegazione richiederebbe legioni di sociologi, solo in parte motivato dall’elevatissima qualità della produzione dell’arredamento italiano.
Se l’arredamento rimane infatti una delle quattro “A” dell’eccellenza italiana, l’intero sistema soffre ormai da qualche anno per una crisi senza precedenti; una crisi derivante dalla pesante recessione che ha colpito le economie dei Paesi avanzati e l’Eurozona in generale, che ha avuto effetti particolarmente rilevanti in Italia, dove un vistosissimo calo dei consumi interni ha avuto evidenti ripercussioni sull’arredamento.
A questa crisi, le aziende di produzione hanno reagito in modo diverso. Un numero importante, purtroppo, è costituito dalle imprese che hanno chiuso i battenti dall’inizio della crisi, superiore a 10 mila (2.400 solo nel 2012).
Ma una percentuale rilevante è costituita anche dalle aziende che hanno approfittato della congiuntura per adottare nuove strategie per approcciare i mercati esteri, soprattutto nei Paesi emergenti. Questo è un dato estremamente positivo: dal 2009, l’export italiano di mobili è in costante ripresa e nel 2012, pur restando ancora lontano dai massimi raggiunti nel 2007, ha toccato gli 8,1 miliardi di euro, mentre il saldo commerciale attivo con l’estero è stato di 6,5 miliardi. In alcuni mercati, il traguardo del 2007, l’ultimo anno pre-crisi, è già stato quasi raggiunto.
L’opinione
In una situazione come questa, è davvero molto difficile individuare tendenze. Più che di tendenze prodotto, si potrebbe parlare di tendenze prudenti: le aziende investono generalmente poco in novità, cercando di valorizzare al massimo il catalogo esistente.
A questo proposito, è illuminante l’opinione del fondatore di un’agenzia di consulenza per la distribuzione, Roberto Furlan, con grande e lunga esperienza nel settore (proviene dal settore farmaceutico, e vanta esperienze con Doimo Design e Dall’Agnese, solo per citarne alcune).
“Un’analisi di come si è evoluta la professione dell’agente negli ultimi anni, offre molte indicazione per interpretare l’andamento del settore, esordisce Furlan; sono sempre di più le aziende, soprattutto piccole e medie, che rinunciano ad avere un direttore vendite interno, e in sostituzione si avvalgono di agenzie di vendita strutturate che organizzano tutta la rete di distribuzione. Noi lavoriamo per diverse imprese, per cui seguiamo tutto il complesso della rete di vendita, non solo in Italia, ma anche all’estero (o anche solo in qualche regione, dipende dalle esigenze). Per noi può anche essere positivo, ma certo trascurare il marketing e le vendite, da parte dei produttori, è indice di una strategia poco chiara.
Il mercato italiano ha avuto un calo di consumi sorprendente, che non ci si aspettava, e il risultato è che molte aziende si concentrano sull’estero, dove si ottengono più risultati con meno fatica. Non è che non si voglia investire sull’Italia, è che, paragonato anche solo ai Paesi limitrofi, il mercato italiano si è contratto moltissimo; al contrario, Francia, Austria e Svizzera sono Paesi in cui si vende ancora abbastanza. L’elemento che suscita più sorpresa, è che sembra che la passione e l’amore per la casa – che fino a pochi anni fa erano tipici dell’Italia – si siano trasferiti all’estero. Una conseguenza particolarmente negativa di questa contrazione dei consumi in Italia, è che sembra aver causato un calo di creatività da parte delle aziende di produzione.
Al Salone di quest’anno, al di là del buon gusto e della qualità dei prodotti, che ci sono sempre e sono innegabili, sembrava mancare quella ricerca di novità che c’era fino a qualche anno fa, come se nessuno se la sentisse di rischiare, in un momento di incertezza così grande. Qualche novità, se si è vista, si è vista principalmente dai produttori stranieri. Alcuni produttori esteri ormai hanno una qualità molto vicina alla nostra e, a volte, prezzi davvero interessanti; stanno diventando concorrenti temibili, e cominciano a occupare gli spazi lasciati liberi dalle nostre aziende. A onor del vero, bisogna sottolineare che entrare nel mercato italiano, soprattutto a causa della frammentazione della distribuzione, è talmente difficile che in genere le aziende estere, a meno che non siano di nicchie molto specifiche o di grande distribuzione, non riescono a penetrare con efficacia sul territorio. Però possono sottrarre quote di mercato nei Paesi in cui l’Italia è già presente.
Un altro dato che deve far riflettere, è la percentuale di operatori italiani che quest’anno erano presenti al Salone: solo il 32% sul totale. In effetti, si notava l’assenza dei professionisti abituali, agenti o rivenditori che fino a pochi anni fa venivano al Salone anche per quattro o cinque giorni, e quest’anno hanno saltato completamente la visita.
Anche se io non condivido pienamente questo modo di lavorare, al contrario, ritengo che per il proprio aggiornamento professionale il Salone debba essere visitato, penso che qualcosa di interessante si trovi sempre, è innegabile che, da due o tre anni, sia difficile andare al Salone e tornare con l’idea di una chiara tendenza, o vedere una serie di novità; purtroppo, negli ultimi anni, si percepisce invece la mancanza di una vera tendenza, e di qualche vera innovazione di prodotto. E soprattutto si nota una carenza di creatività della fascia alta, quella da cui ci si aspettano le idee trainanti.
Si è ormai instaurato un circolo vizioso, che bisogna spezzare, per la nostra stessa sopravvivenza. Se anche le grandi aziende diventano meno attraenti, i rivenditori e gli agenti smettono di venire a Milano per risparmiare, ma saltando la settimana milanese la loro creatività si indebolisce ulteriormente, e così via. Dall’altro lato, se si vende meno, si ha bisogno di risparmiare, e si risparmia su quello a cui si pensa di poter rinunciare. Ma non si può risparmiare sull’aggiornamento professionale.
E anche sull’estero, bisognerebbe riflettere più aprofonditamente. I mercati internazionali possono essere molto interessanti, ma per andare all’estero ci vogliono molte risorse, e delle strategie chiare. Un agente potrebbe – e sottolineo potrebbe – intraprendere attività oltre confine solo se dispone di mezzi finanziari, almeno per cominciare. E, dettaglio non trascurabile, se conosce la lingua dell’area in cui vuole operare. Ma ha comunque bisogno di lavorare con aziende di produzione. E qui torniamo da capo alla radice del problema: molte aziende, ancora troppe, non hanno idee né strategie. Subiscono ancora la crisi, non hanno ancora programmato il proprio futuro; soprattutto le più piccole, pensano che tagliando i costi e tirando la cinghia prima o poi la ripresa arriverà, ma ormai è evidente che non sarà così.
Vale per la produzione quello che vale per la distribuzione: fino a che i consumi “tiravano”, non ci si poneva il problema di strutturarsi. Ora che si ha bisogno di rinnovarsi, reinventarsi, le piccole aziende faticano a comprendere che devono assumersi la responsabilità di decidere in quale direzione vogliono andare, nessuno lo farà per loro, e i consumatori non torneranno automaticamente, un giorno o l’altro. Se a questo si aggiunge la concorrenza spietata della GDO, il quadro complessivo è desolante. Uscirne si può e si deve, ma sarà davvero molto difficile, e sicuramente non ce la faranno tutti.”
Le tendenze
Una velocissima carrellata sulle tendenze, invero, conferma l’opinione di Roberto Furlan. La nota di rilievo del Salone del Mobile 2013 era costituita dal ritorno al Quartiere Fieramilano-Rho del Gruppo Poltrona Frau che, se si distingueva per l’ampiezza e la cura dell’allestimento, nei prodotti ha puntato invece sulla riscoperta dei classici, dai Maestri di Cassina ai vintage di Cappellini. La tendenza a rispolverare i classici del passato c’era un po’ dappertutto – naturalmente nelle aziende che hanno un passato -, da Vittorio Bonacina, che ha esposto la Gala, disegnata da Franco Albini nel 1951, ad Artek, che ha proposto una reinterpretazione contemporanea dello sgabello “60”, di Alvar Aalto, a Vitra, che ha lanciato nuove versioni, con materiali e colori inediti, della sedia Standard di Jean Prouvè, reinterpretata da Hella Jongerius.
Moltissimi nuovi prodotti, dopo qualche anno in cui le novità erano centellinate, da Magis, che ha dato grande spazio all’alluminio, come Emeco, l’azienda americana nota per la Navy Chair, tornata all’alluminio dopo qualche anno di lavoro sulla plastica riciclata. Non che mancassero del tutto alcuni prodotti nuovi e interessanti; probabilmente, nella sovrabbondanza che caratterizza la settimana milanese, diventa più difficile vederli e notarli. Casamania, per esempio, presentava una sedia di rattan e metallo molto gradevole, così come da Moroso non mancavano novità di rilievo, soprattutto nell’outdoor.
In generale, però, è difficile non essere d’accordo con Furlan: per quanto ci piacciano i classici del design, si comincia a sentire un po’ la mancanza di qualcosa di nuovo