Si è spento il 28 gennaio 2018 Ingvar Kamprad, il fondatore di Ikea. Il colosso svedese probabilmente non è molto amato dai rivenditori né dai produttori italiani (e non solo), di arredamento, ma è innegabile che abbia rappresentato una rivoluzione, diffondendo un modello distributivo e produttivo che, pur con qualche difetto, si è imposto a livello mondiale.
Un po’ di storia
Il nome IKEA è l’acronimo delle iniziali del fondatore Ingvar Kamprad (IK) e di Elmtaryd e Agunnaryd (EA), la fattoria e il villaggio dove Kamprad era cresciuto.
Nata inizialmente per la vendita per corrispondenza di oggetti di uso quotidiano, nel 1948 Ikea introdusse i mobili; il primo catalogo, di 16 pagine, è del 1951; il primo mobile nato per la spedizione in un pacco piatto, il tavolino Lövet, risale al 1956, ed è stato rieditato nel 2013 con il nome Lövbacken, perché, ha spiegato Ikea, oggi i clienti comprano più volentieri un oggetto che ha una storia. Nel 1953, Ikea ha aperto il primo showroom, e nel 1958 il primo negozio, entrambi in Svezia. Nel 1989 è sbarcata in Italia con il negozio di Cinisello Balsamo, in provincia di Milano. Da allora sono stati aperti nel nostro Paese altri 22 negozi.
Nel 2017, il fatturato globale è stato di 38,3 miliardi di euro (al netto delle tasse locali). I negozi oggi sono 403, in 29 Paesi, e nel 2017 hanno accolto 936 milioni di persone. I prodotti del catalogo sono circa 9.500, e ogni anno vengono introdotti circa 2.500 nuovi prodotti; il logo Ikea è pressoché uguale al logo introdotto nel 1967, mentre i colori giallo e blu, come simbolo, risalgono al 1977.
Nel corso del tempo, Ikea è diventata un colosso mondiale per la produzione e la vendita di arredamento a basso costo, introducendo alcuni prodotti che sono diventati parte della nostra cultura. Tra questi: la libreria Billy, ormai diventata una sorta di archetipo della libreria (addirittura la rubrica settimanale sui libri del Tg1 ha preso lo stesso nome); la scaffalatura Ivar in pino, presente in milioni di garage e cantine; il divano Klippan, piccolo divano a due posti; il tavolino Lack, e altri ancora.
Tra i fattori che più hanno contribuito al successo di Ikea, la capacità di creare prodotti dal prezzo molto contenuto, ispirati dal design scandinavo ma facilmente adattabili a ogni tipo di gusto, proponendo anche arredi basati sul gusto locale dei vari territori in cui ha aperto i suoi negozi, e la grande abilità commerciale, che ha portato alla creazione di un format ad oggi riconosciuto in gran parte del mondo come unico e, per il momento, non ancora replicato.
Il fenomeno Ikea
Il suo successo è talmente unico da essere oggetto di studio sia nei corsi universitari, sia da parte delle associazioni internazionali di produttori e rivenditori di arredamento. L’organizzazione di Ikea ruota attorno a una logistica progettata per gestire grandi numeri; allo stato attuale, il Gruppo conta quattro divisioni, che dipendono da Inter Ikea: Inter Ikea Systems, che gestisce i franchising, Ikea Industry, che gestisce gli impianti produttivi diretti, e Ikea Sweden e Ikea Supply, che gestiscono le forniture e i fornitori. Ikea può contare su 40 impianti produttivi in 10 Paesi: Cina, Francia, Ungheria, Lituania, Polonia, Portogallo, Russia, Slovacchia, Svezia e Stati Uniti, che impiegano circa 19 mila dipendenti. I Paesi con la produzione più importante sono Polonia, Russia, Slovacchia, Portogallo e Svezia; a questi si aggiungono ovviamente tutti i terzisti, tra cui ci sono anche aziende italiane.
Il sistema di gestione dei negozi è in franchising, con 11 partner nel mondo. Nel complesso, sommando tutte le diverse divisioni, i dipendenti Ikea nel mondo sono circa 200 mila.
Ma non è solo nei numeri che si dispiega l’ascesa globale di questo fenomeno. Oltre ai cospicui investimenti in comunicazione, il successo dei negozi Giallo Blu è dovuto al rivoluzionario “Concept Ikea di vendita”, tutelato dal marchio: un progetto che integra un’offerta completa per la casa, prezzi bassi, prodotti che si acquistano imballati in pacco piatto (facili da assemblare senza nessun tipo di assistenza), negozi dalle ampie superfici, allestimenti che riproducono ambientazioni reali, ma soprattutto negozi a misura d’uomo con ampi parcheggi, zone per bambini, ristorante di cucina tipica svedese con offerte legate anche al territorio in cui si trova il negozio, vari tipi di cibo in vendita. Il comparto food Ikea nel 2017 ha fatturato 1,8 miliardi di euro.
Dal punto di vista del concept commerciale dell’arredamento, tuttavia, ci sono diversi fattori che, sommati, hanno condotto a questo successo planetario, da cui non è stata esente l’Italia. Come ha spiegato Mauro Mamoli, presidente di Federmobili: “Credo che IKEA sia un “fenomeno” distributivo per molti anni sottovalutato e non compreso dalla distribuzione tradizionale – e dall’industria del mobile – soprattutto italiana. Tutti ci siamo focalizzati per anni sui prezzi proposti e sulla “scarsa” qualità del prodotto venduto: ci è sfuggito il modello distributivo e l’organizzazione che fa parte del suo successo globale. Arrivata in Italia quasi trent’anni fa, Ikea propone un catalogo con “prezzi fissi”, non esiste sconto, non esiste un prezzo diverso da quello esposto, il montaggio e il trasporto sono “fai da te” oppure a pagamento: una rivoluzione epocale in un settore dove i prezzi nei negozi – dei prodotti e dei servizi – sono, ancora oggi, quanto di più variabile e meno “trasparente” per i consumatori.
Nei negozi della distribuzione indipendente, lo stesso prodotto ha un prezzo diverso dettato dallo sconto (che viene fatto a prescindere che sia o meno richiesto dall’acquirente); oltre a questo, alcuni negozi hanno il trasporto e montaggio inclusi, altri gratuiti, altri ancora espongono i costi dei servizi a parte e a pagamento (come fa, ed è giusto così, la GdO). Abbiamo guardato per anni la pagliuzza (prezzo/qualità) e ci è sfuggita la trave nell’occhio (chiarezza nella comunicazione al cliente e trasparenza dei prezzi): parte del successo delle grandi superfici giallo-blu sta proprio lì, nel modo di porsi nei confronti del consumatori! Oltre a questo ci sarebbe da chiedersi come mai nel nostro Paese – che vive di una storia nel mondo del mobile e dell’arredamento che non può vantare nessun altro Paese (neppure la Svezia!) – non si sia riusciti a creare un’alternativa distributiva che al “Design Democratico” opponesse il “Design Storico”. Certo, per farlo ci sarebbe bisogno di collaborazione e unità di intenti tra produzione e commercio, bisognerebbe creare e credere in un “sistema dell’arredo Italiano”, bisognerebbe essere meno individualisti e più propensi all’aggregazione: ma questi temi in Italia sembrano un sogno di difficile realizzazione!”