Editoriali

Il Decreto del Fare: poco, e…


Di Mauro Tambelli

Siamo così arrivati all’estate del 2013, e, finora, come “misure per la crescita”, abbiamo visto solo il Decreto del Fare, che, francamente, non ha prodotto grandi risultati, e non sembra essere destinato a generare grande sviluppo. Non si vedono nuove proposte, mentre i consumi calano costantemente. Di tagli alla spesa non c’è traccia, mentre sarebbe ora di cominciare a mettere mano agli sprechi. Continuiamo a sentir dire che non è facile tagliare la spesa improduttiva, ma già eliminare le auto blu sarebbe un passo avanti. Sappiamo tutti che non è risolutivo, ma davvero non si comprende perché, di questi tempi, i Parlamentari non possano usare il taxi, come fanno tutti i cittadini.

Il rinvio dell’aumento dell’IVA al1° ottobre, deciso in extremis ma per la cui copertura si aumenteranno e anticiperanno altre tasse, lascia alquanto perplessi. Non si vedono strategie chiare, solo provvedimenti-tampone, non si vogliono effettuare tagli alla spesa pubblica, che ammonta a 800 miliardi. Serve più coraggio nell’affrontare il problema degli sprechi e dei tagli alla spesa improduttiva.
Dal precedente Governo sono arrivati principalmente provvedimenti depressivi, con aumenti di tasse e nessuna vera manovra per incrementare la crescita, nonostante le dichiarazioni di insediamento. Da tutte le parti arrivano bollettini di guerra, che segnalano ulteriori previsioni negative.
In tutti i Paesi si sono prese iniziative per far crescere l’economia, facendo investimenti e cercando di diluire negli anni successivi il rispetto dei parametri di stabilità.
Dal Giappone, alla Cina, agli Stati Uniti, è stato affrontato il problema di trovare soldi da investire nella crescita, solo in Europa siamo stretti tra vincoli che ci stanno soffocando.
La Germania, con le sue politiche di austerità, sta deprimendo l’Europa: il Governo Italiano dovrebbe rialzare la testa e cominciare a difendere le nostre posizioni. Si arriva addirittura a pensare che sarebbe il caso che la Germania uscisse dall’euro, lasciando liberi gli altri Stati di fondare gli Stati Uniti d’Europa, con un Governo unitario, e soprattutto una Banca libera di stampare moneta. Siamo arrivati all’assurdo che si comincia a criticare il Governatore della BCE per le scelte effettuate nel corso del 2012, per difendere l’euro dalle speculazioni con il fondo salva-stati.

Come diceva anche Marco Fortis, durante il Forum LegnoArredo, il vero problema di questa depressione è che sta interessando tutta l’Europa: la Germania sta rallentando, la Francia non sta crescendo, Italia e Spagna hanno i consumi domestici a picco, non parliamo poi dei PIGS (o GIPS); ma anche in Olanda i consumi interni sono calati come in Italia, negli ultimi 5 anni, e l’Olanda non ha nemmeno applicato misure di austerità.
Il nostro problema nasce dall’aver costretto l’Italia a ridurre la domanda interna, che ha portato di conseguenza a ridurre la capacità produttiva, l’industria vera, ma la conclusione, ancora più allarmante, è che ad essere ridotta è stata la capacità produttiva di tutta l’Europa. A meno che non ci sia un disegno che vuole restringere la capacità produttiva alla sola Germania, infierire sulla capacità produttiva dell’Italia è stata una sciocchezza, anche e soprattutto per tutta l’Europa.
Ci è stato chiesto di applicare una cura “greca” sulla base di due parametri, che ci vengono continuamente rinfacciati, ma la realtà è che ci è stato imposto di mortificare la produzione, e oggi ne stiamo vedendo le conseguenze.
Si vuole veramente mandare al macello altre nazioni, oltre alla Grecia?
Tornando al “Decreto del Fare”, i titoli dei giornali degli ultimi giorni parlano di prestiti agevolati a chi investe, di bollette meno care. Ma di cosa stiamo parlando? Chi investe in questo momento? E il risparmio sulle bollette sarà di 5 euro a famiglia?

Mentre il Governo cincischia sui provvedimenti, si continuano a spendere soldi in operazioni quanto meno di dubbia comprensione: acquisto di aerei militari, finanziamento di missioni all’estero. Mancano politiche serie di investimento sull’energia – gli Stati Uniti stanno lavorando per essere indipendenti energeticamente, qui cosa si sta facendo?
La lettura dei giornali è scoraggiante: “Prefetto arrestato per aver sottratto 10 milioni di euro al Viminale”; 10 milioni di euro che sarebbero stati sottratti dal Fondo per gli Edifici di Culto, una fetta consistente del nostro patrimonio artistico.” E ciò che è ancora più irritante, è che notizie come questa vengono fatte passare sotto tono, nascoste in trafiletti. Non si vuole condannare nessuno prima che la giustizia abbia fatto il suo corso, ma sarebbe equo dare la giusta importanza alla notizia.
Sembra davvero di essere tornati ai tempi di Luigi XIV e della sua Corte, che affamavano i sudditi. Un salto indietro di 700 anni. Ai privilegi nobiliari si sono sostituiti i “poteri forti”, che gestiscono le finanze e portano via la ricchezza alla gente normale. La speculazione ha già ripreso il suo corso, mangiandosi la ricchezza vera, quella che deriva dalle attività produttive.

Un capitolo a parte va dedicato alle tasse.
Innanzitutto, bisognerebbe eliminare l’IMU sugli immobili che servono a produrre lavoro, sia industriali sia commerciali; soprattutto per chi ha immobili in leasing, diventa una tassa particolarmente iniqua: si paga un leasing, non si sa nemmeno se si arriverà ad essere proprietari, ma intanto si paga una tassa, che non è nemmeno detraibile. L’Irap, che viene calcolata senza detrarre il costo del lavoro – come se non fosse un costo – è un altro esempio di tassa iniqua.
Si leggono periodicamente titoloni di giornali “Commercianti dichiarano reddito inferiore ai dipendenti!”.
Niente di strano: in periodi come questi, una volta detratti i costi dai ricavi, sempre più scarsi, spesso un esercizio commerciale finisce in parità o in perdita. Ergo, i proprietari non solo non hanno reddito, ma a volte finanziano con i propri soldi personali le attività, perché si fanno scrupoli e magari non licenziano personale, sperando che la situazione migliori.
Ridurre le imposte, dunque, potrebbe essere un inizio.

E, naturalmente, bisogna rilanciare l’economia. Ma come? Qualche soluzione forse c’è.
Innanzitutto, si dovrebbero rinegoziare i parametri di stabilità in Europa, e intraprendere una seria politica di investimenti, in settori cruciali per la nostra economia.
La struttura produttiva italiana non è allo sbando come ci fanno credere: secondo l’indice Unctad/WTO le imprese italiane occupano il secondo posto per competitività, nel mondo; e non si tratta di pizze e mandolini, al contrario, l’Italia risulta prima al mondo per competitività nel tessile, abbigliamento e pelletteria-calzature, seconda, dopo la Germania, nella meccanica non elettronica, nei manufatti di base e in quelli generici (che vanno dalle valvole alle pompe idrauliche), e infine è al sesto posto nei prodotti alimentari trasformati.
E poi bisogna considerare il turismo, in cui l’Italia, purtroppo, non è competitiva, ma potrebbe esserlo: il nostro petrolio è la nostra ricchezza di storia e cultura, che non viene minimamente sfruttata come potrebbe. Lo Stato è ricco di beni da dismettere, caserme, per esempio, che sarebbero perfette per ospitare alberghi.
Il rilancio del turismo, oltre a portare flussi di cassa, genererebbe indotto per tutte le attività collegate, non ultimo il nostro settore, coinvolto nelle ristrutturazioni.
Naturalmente, bisognerebbe semplificare le procedure per accedere alle attività, oltre che cercare di trattare i turisti un po’ meglio. Titoli come “Sciopero a Roma, turisti al Colosseo in coda sotto il sole” sono sconfortanti, non vorremmo davvero leggerli più.

Concludo ricordando una grande vittoria ottenuta da Federmobili con FederlegnoArredo e altre associazioni coinvolte nella richiesta (Confartigianato Legno Arredo, CNA Produzione, Ance e i sindacati FENEAL UIL, FILCA CISL, FILLEA CGIL), con il Bonus mobili, contenuto nel Decreto Legge del 6 giugno 2013. Pur con le limitazioni del caso, e con tutte le difficoltà annesse e connesse, è una grande vittoria che sia stata riconosciuta ufficialmente l’esistenza del settore arredamento come settore industriale.
Ultimo, ma non da ultimo, un aggiornamento importante che riguarda la nostra rivista.
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